sabato 14 settembre 2013

LA QUIETE PRIMA DELLA TEMPESTA

Qualche giorno fa è apparsa sul Messaggero Veneto una notizia che dovrebbe lasciare chiunque sgomento, invece, di questi tempi, sembra quasi normale. 
Di che si tratta? 
In provincia di Pordenone, un cinquantaquattrenne, senza lavoro da tre anni, con famiglia a carico, disperato, ha deciso di mettere in vendita un rene, ultima spiaggia per poter mangiare. Ecco il suo messaggio, affidato alle pagine di un blog molto seguito:
«Oggi ho preso la mia decisione: quella di vendere un rene al miglior offerente, è l’unica cosa che ho ancora da vendere, non abbiamo più nulla a disposizione. Abbiamo già venduto tutto al Compro oro per poter sopravvivere fino a oggi, ma adesso non abbiamo più nulla. Se non riesco a vendere il mio rene l’unica cosa che mi rimane è farla finita, così almeno daranno a mia moglie e ai miei figli la pensione, per quanto minima».
E questo non è un caso isolato, altri hanno già tentato questa via, e altri la tenteranno ancora.
C'è bisogno di un commento?
Si, c'è bisogno. Perché è inaudito. 
Cerchiamo di non lasciarci prendere da un inutile senso di pietà, e analizziamo lucidamente la cosa.
E' un dato di fatto che questa crisi non accenna a diminuire, la morsa è forte e gli italiani si scoprono ogni anno più poveri, in barba a quanto ci dicono i politicanti nostrani che vedono la luce in fondo al tunnel.
Nell'ultimo report sulla povertà in Italia, l'Istat fornisce dati agghiaccianti: sono 9 milioni 563 mila le persone in povertà relativa, pari al 15,8% della popolazione e di questi, 4 milioni e 814 mila (8%) sono i poveri assoluti, cioè quelli che non sanno cosa mangeranno.
La povertà assoluta aumenta non solo tra le famiglie di operai, ma anche tra gli impiegati e i dirigenti e tra le famiglie dove i redditi da lavoro si associano a redditi da pensione.
Questo significa che la "crisi assassina" colpisce in modo trasversale tutta la popolazione, senza distinzione di classi e categorie sociali.
I dati riportati sopra sono destinati a crescere.
Se diamo uno sguardo all'Umbria, che è la regione dalla quale scriviamo, scopriamo che, sempre secondo l'Istat, a rendere allarmante la situazione nel cuore verde d'Italia, è un dato in particolare: l'Umbria si attesta al primo posto per famiglie in stato di povertà sia a livello dell'Italia Centrale, che per quanto concerne l'intero Centro-Nord.
Inutile pensare che prima o poi finirà, che l'economia tornerà a girare e gli italiani a spendere come prima. 
Questa crisi è violentissima, e non è una semplice crisi economica. 
La maggioranza delle persone la vive quotidianamente, con la precarizzazione del lavoro o la sua perdita, con la riduzione del reddito e il peso insostenibile delle tasse, con la stretta creditizia e le delocalizzazioni, le politiche d'austerità, i trattati, gli accordi economici decisi ed attuati dai politici italiani, europei, occidentali, in quel gioco d'azzardo chiamato finanza, tutto nel disperato tentativo di tenere in vita un sistema malato terminale.
Questa situazione non può durare. Ma non occorre né disperarsi, né impietosirsi né suicidarsi. 
Occorre indignarsi.
In tal senso va la Marcia della Dignità. Non è la sfilata degli sfigati. E' un tentativo, nell'impasse generale, nella quiete che precede la tempesta, di canalizzare e slatentizzare la rabbia collettiva.

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