Pubblichiamo la risoluzione approvata dal Comitato operativo del Coordinamento
nazionale della sinistra contro l'euro il 10 luglio 2014
«I 6 mesi di presidenza italiana della UE sono appena iniziati. Questo semestre è stato caricato di aspettative che vanno ben oltre i poteri di un'ordinaria presidenza di turno. Tuttavia, in parte proprio anche per queste attese, ma soprattutto per la delicatissima situazione economica, nonché per le promesse diffuse a piene mani da Renzi, le vicende dei prossimi mesi ci diranno molte cose tanto sul futuro dell'UE quanto su quello del nostro Paese.
Con le recenti elezioni per il parlamento di Strasburgo si è registrata una forte perdita di consensi, non solo verso le politiche europee, ma più in generale verso l'intero progetto europeista. Oggi i fautori di una maggiore integrazione politica, per non parlare di quelli apertamente federalisti, sono in grande difficoltà, mentre i vertici politici dell'Unione sono costretti a navigare a vista.
Se il risultato elettorale inglese, seguito dal no del governo di Londra alla designazione di Juncker alla guida della Commissione, disegna un percorso di allontanamento della Gran Bretagna dall'UE; la netta sconfitta delle forze europeiste in Francia - paese da sempre centrale nella costruzione europea - ha un peso e delle conseguenze ancora maggiori.
E' in questo quadro assai critico che è iniziato il confronto sulle future politiche europee. Le scontatissime "larghe intese" tra PPE, PSE ed ALDE non riescono certo a nascondere lo scontro di interessi in atto tra i paesi del nord Europa (Germania in primis) e quelli dell'area mediterranea.
Anche se nessun governo mette apertamente in discussione i vincoli europei, neppure quelli più stringenti del Fiscal Compact, la loro sempre più evidente insostenibilità per le economie del sud è destinata ad acuire le già palesi contraddizioni interne all'Unione, ed all'Eurozona in particolare.
Niente fa pensare che il blocco eurista dominante abbia intenzione di venire meno ai suoi dogmi monetaristi, né di modificare nella sostanza le politiche liberiste di rigore ed austerità imposte ai paesi maggiormente indebitati. Questo cambiamento non può esservi perché aprirebbe le porte al fallimento dell'intero progetto incentrato sulla moneta unica: quello di un’Europa oligarchica, antidemocratica e imperialistica a guida tedesca. L'euro non è, quindi, semplicemente una moneta, è lo strumento essenziale, non solo per ridurre in schiavitù i lavoratori salariati, ma anche per mettere in riga i settori recalcitranti delle borghesie nazionali, ed infine per privare gli Stati delle loro residue facoltà sovrane.
Le oligarchie dominanti non intendono certo rinunciare a questo sistema, che è servito a realizzare la più grande devastazione sociale dal 1945 in poi, con uno spostamento di quote di ricchezza (e di potere) verso l'alto che non ha precedenti. Per non incepparsi del tutto, questo sistema di dominio classista ha bisogno di realizzare una decisa convergenza delle politiche fiscali e di bilancio. Ecco perché non può rinunciare, salvo qualche modesto aggiustamento, al Fiscal Compact.
Sbaglia quindi chi pensa di poter dire no all'austerità senza rimettere in discussione l'intero sistema imperniato sull'euro.
Su questi nodi andrà a sbattere lo stesso governo Renzi. L'illusione di poter "cambiare verso" all'Europa è destinata ad evaporare assai presto. Restano semmai da capire le possibili conseguenze di questo impatto con la realtà.
Finora Renzi ha potuto muoversi come un teatrante consumato qual è, dicendo una cosa e facendo esattamente l'opposto. In primavera, mentre a parole chiedeva un allentamento dei vincoli, varava un Documento di Economia e Finanza (DEF) perfettamente allineato con la tabella di marcia del rientro del debito prevista nel Fiscal Compact. Pochi giorni fa, pur continuando a tuonare contro il rigore, sottoscriveva l'anticipo dell'obiettivo del pareggio di bilancio "strutturale" al 2015, rinunciando alla precedente richiesta di spostarlo al 2016. Il tutto condito dall'accettazione dell'oltranzista filo-tedesco Juncker alla testa della Commissione.
Il tempo di questi giochini sta però per scadere. La promessa senza la quale non avrebbe potuto stravincere le elezioni europee, quella della "fine dell'austerità", emblematizzata nella mossa degli "80 euro", sta per avvicinarsi a scadenze non aggirabili. Le richieste di maggior flessibilità, la penosa ricerca di questa o quella voce di spesa da scorporare dal computo del deficit e del debito non risolvono alcun problema. Al di là del fatto che per ora nessun risultato concreto è stato ottenuto in sede europea, resta il macigno delle regole di bilancio imposte dal Fiscal Compact che Renzi si guarda bene dal mettere in discussione.
Alla fine dell'estate - in un quadro economico segnato peraltro da una recessione senza fine - una scelta si imporrà. Il rispetto dei vincoli europei impone infatti una manovra finanziaria per il 2015 assai pesante. Se Renzi deciderà di attuarla come se niente fosse, la cosiddetta "luna di miele" con molti italiani finirà all'istante. Se invece deciderà di evitarla, magari passando anche da elezioni politiche anticipate, quel che non potrà più eludere sarà uno scontro aperto con l'Unione Europea.
Nel primo caso avremo un repentino indebolimento del governo sul fronte interno, nel secondo una forte acutizzazione della crisi europea. In un caso, come nell'altro, è necessario che le forze che si battono contro l'euro e contro l'Unione Europea siano in campo con una proposta politica. Al tempo stesso è sempre più urgente che tra queste forze più avanzate, e quelle che comunque si battono contro le politiche dell'UE, si realizzi un'unità d'azione sul terreno della ferma opposizione al Fiscal Compact.
In questo senso, il Coordinamento della sinistra contro l'euro decide di partecipare alla raccolta di firme, iniziata nei giorni scorsi, per il referendum contro il Fiscal Compact, con il quale si intendono abrogare alcune parti della Legge 243 del 2012 sul pareggio di bilancio. Questo referendum ha diversi limiti: alcuni oggettivi, derivanti dalla stessa legge che regola i referendum abrogativi; altri politici, frutto della visione politica europeista di alcuni dei promotori. Tuttavia, arrivare al referendum sarebbe in ogni caso un grande successo politico. Al di là dei limiti richiamati si tratterebbe infatti del primo pronunciamento popolare sull'Unione Europea, sulle sue regole e, sia pure indirettamente, sulla stessa moneta unica.
Grande sarebbe la possibilità di assestare un duro colpo alle oligarchie europee ed allo stesso governo Renzi. Ovviamente, per noi, questo referendum ha senso solo se inserito in una visione più ampia. Per questo raccoglieremo le firme dentro la cornice della battaglia più generale per l'uscita dell'Italia dall'euro e dall'Unione Europea, per quella che noi chiamiamo uscita da sinistra, accompagnata cioè da una serie di misure (moratoria sul debito pubblico, nazionalizzazione delle banche, piano per il lavoro) che prospetti uno sganciamento dal sistema del capitalismo-casinò e la difesa degli interessi delle classi popolari.
Al tempo stesso non bisogna sottovalutare il disegno antidemocratico ed autoritario che Renzi porta avanti con le riforme istituzionali e con la nuova legge elettorale. Su questo fronte bisogna opporsi sia al Senato non elettivo, che ad un sistema elettorale disegnato attorno al dogma della "governabilità". In questo senso consideriamo inaccettabili le ultime mosse del M5S; mosse che rischiano di portare quella che è rimasta l'unica opposizione parlamentare dentro il pantano di una discussione ben recintata a priori dal patto Renzi-Berlusconi.
I principi democratici e costituzionali non sono per noi negoziabili. Il principio "una testa, un voto", che può trovare attuazione solo nel sistema proporzionale, va dunque difeso con ogni mezzo».
Comitato operativo del Coordinamento della sinistra contro l'euro
10 luglio 2014
Fonte: Sinistra contro l'euro
«I 6 mesi di presidenza italiana della UE sono appena iniziati. Questo semestre è stato caricato di aspettative che vanno ben oltre i poteri di un'ordinaria presidenza di turno. Tuttavia, in parte proprio anche per queste attese, ma soprattutto per la delicatissima situazione economica, nonché per le promesse diffuse a piene mani da Renzi, le vicende dei prossimi mesi ci diranno molte cose tanto sul futuro dell'UE quanto su quello del nostro Paese.
Con le recenti elezioni per il parlamento di Strasburgo si è registrata una forte perdita di consensi, non solo verso le politiche europee, ma più in generale verso l'intero progetto europeista. Oggi i fautori di una maggiore integrazione politica, per non parlare di quelli apertamente federalisti, sono in grande difficoltà, mentre i vertici politici dell'Unione sono costretti a navigare a vista.
Se il risultato elettorale inglese, seguito dal no del governo di Londra alla designazione di Juncker alla guida della Commissione, disegna un percorso di allontanamento della Gran Bretagna dall'UE; la netta sconfitta delle forze europeiste in Francia - paese da sempre centrale nella costruzione europea - ha un peso e delle conseguenze ancora maggiori.
E' in questo quadro assai critico che è iniziato il confronto sulle future politiche europee. Le scontatissime "larghe intese" tra PPE, PSE ed ALDE non riescono certo a nascondere lo scontro di interessi in atto tra i paesi del nord Europa (Germania in primis) e quelli dell'area mediterranea.
Anche se nessun governo mette apertamente in discussione i vincoli europei, neppure quelli più stringenti del Fiscal Compact, la loro sempre più evidente insostenibilità per le economie del sud è destinata ad acuire le già palesi contraddizioni interne all'Unione, ed all'Eurozona in particolare.
Niente fa pensare che il blocco eurista dominante abbia intenzione di venire meno ai suoi dogmi monetaristi, né di modificare nella sostanza le politiche liberiste di rigore ed austerità imposte ai paesi maggiormente indebitati. Questo cambiamento non può esservi perché aprirebbe le porte al fallimento dell'intero progetto incentrato sulla moneta unica: quello di un’Europa oligarchica, antidemocratica e imperialistica a guida tedesca. L'euro non è, quindi, semplicemente una moneta, è lo strumento essenziale, non solo per ridurre in schiavitù i lavoratori salariati, ma anche per mettere in riga i settori recalcitranti delle borghesie nazionali, ed infine per privare gli Stati delle loro residue facoltà sovrane.
Le oligarchie dominanti non intendono certo rinunciare a questo sistema, che è servito a realizzare la più grande devastazione sociale dal 1945 in poi, con uno spostamento di quote di ricchezza (e di potere) verso l'alto che non ha precedenti. Per non incepparsi del tutto, questo sistema di dominio classista ha bisogno di realizzare una decisa convergenza delle politiche fiscali e di bilancio. Ecco perché non può rinunciare, salvo qualche modesto aggiustamento, al Fiscal Compact.
Sbaglia quindi chi pensa di poter dire no all'austerità senza rimettere in discussione l'intero sistema imperniato sull'euro.
Su questi nodi andrà a sbattere lo stesso governo Renzi. L'illusione di poter "cambiare verso" all'Europa è destinata ad evaporare assai presto. Restano semmai da capire le possibili conseguenze di questo impatto con la realtà.
Finora Renzi ha potuto muoversi come un teatrante consumato qual è, dicendo una cosa e facendo esattamente l'opposto. In primavera, mentre a parole chiedeva un allentamento dei vincoli, varava un Documento di Economia e Finanza (DEF) perfettamente allineato con la tabella di marcia del rientro del debito prevista nel Fiscal Compact. Pochi giorni fa, pur continuando a tuonare contro il rigore, sottoscriveva l'anticipo dell'obiettivo del pareggio di bilancio "strutturale" al 2015, rinunciando alla precedente richiesta di spostarlo al 2016. Il tutto condito dall'accettazione dell'oltranzista filo-tedesco Juncker alla testa della Commissione.
Il tempo di questi giochini sta però per scadere. La promessa senza la quale non avrebbe potuto stravincere le elezioni europee, quella della "fine dell'austerità", emblematizzata nella mossa degli "80 euro", sta per avvicinarsi a scadenze non aggirabili. Le richieste di maggior flessibilità, la penosa ricerca di questa o quella voce di spesa da scorporare dal computo del deficit e del debito non risolvono alcun problema. Al di là del fatto che per ora nessun risultato concreto è stato ottenuto in sede europea, resta il macigno delle regole di bilancio imposte dal Fiscal Compact che Renzi si guarda bene dal mettere in discussione.
Alla fine dell'estate - in un quadro economico segnato peraltro da una recessione senza fine - una scelta si imporrà. Il rispetto dei vincoli europei impone infatti una manovra finanziaria per il 2015 assai pesante. Se Renzi deciderà di attuarla come se niente fosse, la cosiddetta "luna di miele" con molti italiani finirà all'istante. Se invece deciderà di evitarla, magari passando anche da elezioni politiche anticipate, quel che non potrà più eludere sarà uno scontro aperto con l'Unione Europea.
Nel primo caso avremo un repentino indebolimento del governo sul fronte interno, nel secondo una forte acutizzazione della crisi europea. In un caso, come nell'altro, è necessario che le forze che si battono contro l'euro e contro l'Unione Europea siano in campo con una proposta politica. Al tempo stesso è sempre più urgente che tra queste forze più avanzate, e quelle che comunque si battono contro le politiche dell'UE, si realizzi un'unità d'azione sul terreno della ferma opposizione al Fiscal Compact.
In questo senso, il Coordinamento della sinistra contro l'euro decide di partecipare alla raccolta di firme, iniziata nei giorni scorsi, per il referendum contro il Fiscal Compact, con il quale si intendono abrogare alcune parti della Legge 243 del 2012 sul pareggio di bilancio. Questo referendum ha diversi limiti: alcuni oggettivi, derivanti dalla stessa legge che regola i referendum abrogativi; altri politici, frutto della visione politica europeista di alcuni dei promotori. Tuttavia, arrivare al referendum sarebbe in ogni caso un grande successo politico. Al di là dei limiti richiamati si tratterebbe infatti del primo pronunciamento popolare sull'Unione Europea, sulle sue regole e, sia pure indirettamente, sulla stessa moneta unica.
Grande sarebbe la possibilità di assestare un duro colpo alle oligarchie europee ed allo stesso governo Renzi. Ovviamente, per noi, questo referendum ha senso solo se inserito in una visione più ampia. Per questo raccoglieremo le firme dentro la cornice della battaglia più generale per l'uscita dell'Italia dall'euro e dall'Unione Europea, per quella che noi chiamiamo uscita da sinistra, accompagnata cioè da una serie di misure (moratoria sul debito pubblico, nazionalizzazione delle banche, piano per il lavoro) che prospetti uno sganciamento dal sistema del capitalismo-casinò e la difesa degli interessi delle classi popolari.
Al tempo stesso non bisogna sottovalutare il disegno antidemocratico ed autoritario che Renzi porta avanti con le riforme istituzionali e con la nuova legge elettorale. Su questo fronte bisogna opporsi sia al Senato non elettivo, che ad un sistema elettorale disegnato attorno al dogma della "governabilità". In questo senso consideriamo inaccettabili le ultime mosse del M5S; mosse che rischiano di portare quella che è rimasta l'unica opposizione parlamentare dentro il pantano di una discussione ben recintata a priori dal patto Renzi-Berlusconi.
I principi democratici e costituzionali non sono per noi negoziabili. Il principio "una testa, un voto", che può trovare attuazione solo nel sistema proporzionale, va dunque difeso con ogni mezzo».
Comitato operativo del Coordinamento della sinistra contro l'euro
10 luglio 2014
Fonte: Sinistra contro l'euro
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