Capisco che sotto botta ci si interroghi anzitutto sulle ragioni dell'insuccesso dei cinque stelle. Tuttavia, se sono le dimensioni del successo del Pd renziano il vero fatto eclatante, è sulle ragioni di questa inattesa avanzata che occorre interrogarsi.
Solo in questo quadro segnalo la spiegazione di Gianluigi Paragone della sconfitta dei pentastellati. In piena controtendenza rispetto ai molti che addebitano la causa della sconfitta di M5S all'eccesso di "estremismo protestatario", Paragone sostiene che Grillo avrebbe perso perché ha dato retta a Casaleggio:
Non per eccesso di radicalismo gli stellati avrebbero quindi perso tanti voti, quanto piuttosto perché non sono stati in grado di dargli sostanza, sorreggendolo con proposte di politica economica credibili, perché sono stati elusivi e sfuggenti sulla questione dell'uscita dall'euro. E' la stessa chiave di lettura che, su questo sito, in tempo reale, avanzava Maria Gargano il 20 maggio. ha quindi ragione la Segreteria di Mpl nel sostenere che si è rivelato un grave errore impostare le elezioni come un referendum su Renzi, trattandolo però come un fantoccio della "casta", mentre a livello di massa era riuscito il tentativo di quest'ultimo di passare come il "rottamatore" dei vecchi pescecani politici, ad iniziare da quelli del suo Pd. A maggior ragione occorrevano argomenti tosti, tanto più perché il Renzi non ha affatto impostato la sua campagna elettorale al grido mortifero di "Viva L'europa delle banche e dell'austerità", quanto invece, proprio all'opposto, all'insegna del "cambiamo l'Europa" e del "porremo fine all'austerità".
Sotto l'effetto della sconfitta, per primi i "grillini", si sono spiegati l'avanzata di Renzi come la vittoria dell'Italia della conservazione, leggendola quindi come risposta reazionaria all'Italia del cambiamento. Quindi giù a dare addosso ai cittadini italiani, beoti e pecoroni. E' una spiegazione non solo parziale ma sbagliata, che può condurre solo a nuove batoste.
Due sono quindi le sorgenti che hanno alimentato il fiume renziano. Da una parte,certamente, il consenso gli è venuto dalle classi e dai ceti sociali agiati, attestati su una linea di conservazione dell'esistente —si tratta, in una società post-fordista segnata dalla diagonale del debito, del "popolo dei creditori", come segnalava Pasquinelli—, e che quindi sono terrorizzati dal cambiamento, dal crollo dell'euro e dal default. Fosse stata solo questa la sorgente Matteo Renzi non avrebbe superato il 30%. Tutto il resto dei consensi gli è venuto da quella parte di popolo lavoratore che non è ancora con l'acqua alla gola e che si illude che la catastrofe sia evitabile con decisi aggiustamenti e facendo cambiare "verso all'Europa". Gli 80 euro non sono stati sono una regalia, sono stati il simulacro della speranza, come dice Paragone "l'inizio di una stagione nuova".
In questo senso la vittoria di Renzi è una sua personale vittoria, non del suo partito, che porta sulle spalle tutte le responsabilità delle politiche di macelleria sociale e di salvataggio del capitalismo predatorio.
Se quest'analisi è corretta occorre saperne trarne le dovute conseguenze politiche.
Quali sono queste conseguenze? La prima è che questo folgorante successo di Renzi è fragile, fragile proprio per l'ampiezza delle aspettative che ha suscitato in tanti italiani, i quali ora si aspettano che una svolta rispetto alle politiche austeritarie avvenga, e avvenga presto.
Ma quali sono i margini di manovra di Renzi? Essi sono strettissimi —si tenga conto che il fatidico banco di prova del "semestre europeo" finisce il 31 dicembre 2014. E di quali arnesi Renzi dispone, oltre al capitale di consenso ottenuto, per poter adottare politiche economiche espansive efficaci. Nessuno o quasi.
Da questa angolatura si capisce il basso profilo tenuto da Renzi nella sua conferenza stampa di ieri. Dopo aver temuto la sconfitta, ora gli tremano i polsi proprio per la spettacolare dimensione del suo successo. Una dimensione che da la cifra politica delle aspettative enormi che ha suscitato. Egli sa quanto sia arduo ora soddisfarle. Egli avrebbe bisogno, non solo di piegare le resistenze dei tedeschi e dei tecno-oligarchi europei, ma pure di una benevolenza dei grandi investitori internazionali e che l'economia internazionale conosca subito un ciclo espansivo —tale da premiare la politica mercantilistica sul cui solco il governo Renzi si muove.
Ammesso che i centri nevralgici dell'euro-sistema concedano al governo Renzi sforamenti parziali delle prescrizioni dei Trattati come il Fiscal compact, questi saranno sufficienti per imprimere una svolta e farla finita con l'asuterità? E se, come è probabile, invece di una dilatazione del ciclo espansivo di paesi come gli USA, il Giappone e il Regno unito, questo si risolvesse in una recessione generale?
Il destino di Renzi non è nelle sue mani, né in quella della Divina Provvidenza. E' nelle mani delle cieche leggi economiche capitalistiche, che in tempi di crisi sistemica, non sono certo generose verso politicanti egotici che per salire al trono promettono mari e monti. La crisi è un tritacarne, fa presto a gettare nella polvere politici saliti alla stelle grazie ad annunci miracolistici. La loro caduta, di norma, è altrettanto fulminea quanto la loro ascesa.
Bando al pessimismo dunque. Si attrezzino piuttosto, e in fretta, quelle forze che vogliono salvare il popolo lavoratore dal baratro, e quindi rovesciare l'ordine di cose esistente.
Fonte: sollevAzione
Solo in questo quadro segnalo la spiegazione di Gianluigi Paragone della sconfitta dei pentastellati. In piena controtendenza rispetto ai molti che addebitano la causa della sconfitta di M5S all'eccesso di "estremismo protestatario", Paragone sostiene che Grillo avrebbe perso perché ha dato retta a Casaleggio:
«Il vero responsabile della sconfitta si chiama Gianroberto Casaleggio. Casaleggio era convinto di tenere in cassaforte i voti che prese alle politiche e perciò si dovesse “tranquillizzare” il voto moderato per tentare il sorpasso. Così ha messo la giacca e la cravatta ai suoi golden boy, li ha istruiti affinché parlassero come fighettini. E’ di Casaleggio la scelta di andare da Vespa e poi ai talk comodi, seduti, tranquilli».
Non per eccesso di radicalismo gli stellati avrebbero quindi perso tanti voti, quanto piuttosto perché non sono stati in grado di dargli sostanza, sorreggendolo con proposte di politica economica credibili, perché sono stati elusivi e sfuggenti sulla questione dell'uscita dall'euro. E' la stessa chiave di lettura che, su questo sito, in tempo reale, avanzava Maria Gargano il 20 maggio. ha quindi ragione la Segreteria di Mpl nel sostenere che si è rivelato un grave errore impostare le elezioni come un referendum su Renzi, trattandolo però come un fantoccio della "casta", mentre a livello di massa era riuscito il tentativo di quest'ultimo di passare come il "rottamatore" dei vecchi pescecani politici, ad iniziare da quelli del suo Pd. A maggior ragione occorrevano argomenti tosti, tanto più perché il Renzi non ha affatto impostato la sua campagna elettorale al grido mortifero di "Viva L'europa delle banche e dell'austerità", quanto invece, proprio all'opposto, all'insegna del "cambiamo l'Europa" e del "porremo fine all'austerità".
Sotto l'effetto della sconfitta, per primi i "grillini", si sono spiegati l'avanzata di Renzi come la vittoria dell'Italia della conservazione, leggendola quindi come risposta reazionaria all'Italia del cambiamento. Quindi giù a dare addosso ai cittadini italiani, beoti e pecoroni. E' una spiegazione non solo parziale ma sbagliata, che può condurre solo a nuove batoste.
Due sono quindi le sorgenti che hanno alimentato il fiume renziano. Da una parte,certamente, il consenso gli è venuto dalle classi e dai ceti sociali agiati, attestati su una linea di conservazione dell'esistente —si tratta, in una società post-fordista segnata dalla diagonale del debito, del "popolo dei creditori", come segnalava Pasquinelli—, e che quindi sono terrorizzati dal cambiamento, dal crollo dell'euro e dal default. Fosse stata solo questa la sorgente Matteo Renzi non avrebbe superato il 30%. Tutto il resto dei consensi gli è venuto da quella parte di popolo lavoratore che non è ancora con l'acqua alla gola e che si illude che la catastrofe sia evitabile con decisi aggiustamenti e facendo cambiare "verso all'Europa". Gli 80 euro non sono stati sono una regalia, sono stati il simulacro della speranza, come dice Paragone "l'inizio di una stagione nuova".
In questo senso la vittoria di Renzi è una sua personale vittoria, non del suo partito, che porta sulle spalle tutte le responsabilità delle politiche di macelleria sociale e di salvataggio del capitalismo predatorio.
Se quest'analisi è corretta occorre saperne trarne le dovute conseguenze politiche.
Quali sono queste conseguenze? La prima è che questo folgorante successo di Renzi è fragile, fragile proprio per l'ampiezza delle aspettative che ha suscitato in tanti italiani, i quali ora si aspettano che una svolta rispetto alle politiche austeritarie avvenga, e avvenga presto.
Ma quali sono i margini di manovra di Renzi? Essi sono strettissimi —si tenga conto che il fatidico banco di prova del "semestre europeo" finisce il 31 dicembre 2014. E di quali arnesi Renzi dispone, oltre al capitale di consenso ottenuto, per poter adottare politiche economiche espansive efficaci. Nessuno o quasi.
Da questa angolatura si capisce il basso profilo tenuto da Renzi nella sua conferenza stampa di ieri. Dopo aver temuto la sconfitta, ora gli tremano i polsi proprio per la spettacolare dimensione del suo successo. Una dimensione che da la cifra politica delle aspettative enormi che ha suscitato. Egli sa quanto sia arduo ora soddisfarle. Egli avrebbe bisogno, non solo di piegare le resistenze dei tedeschi e dei tecno-oligarchi europei, ma pure di una benevolenza dei grandi investitori internazionali e che l'economia internazionale conosca subito un ciclo espansivo —tale da premiare la politica mercantilistica sul cui solco il governo Renzi si muove.
Ammesso che i centri nevralgici dell'euro-sistema concedano al governo Renzi sforamenti parziali delle prescrizioni dei Trattati come il Fiscal compact, questi saranno sufficienti per imprimere una svolta e farla finita con l'asuterità? E se, come è probabile, invece di una dilatazione del ciclo espansivo di paesi come gli USA, il Giappone e il Regno unito, questo si risolvesse in una recessione generale?
Il destino di Renzi non è nelle sue mani, né in quella della Divina Provvidenza. E' nelle mani delle cieche leggi economiche capitalistiche, che in tempi di crisi sistemica, non sono certo generose verso politicanti egotici che per salire al trono promettono mari e monti. La crisi è un tritacarne, fa presto a gettare nella polvere politici saliti alla stelle grazie ad annunci miracolistici. La loro caduta, di norma, è altrettanto fulminea quanto la loro ascesa.
Bando al pessimismo dunque. Si attrezzino piuttosto, e in fretta, quelle forze che vogliono salvare il popolo lavoratore dal baratro, e quindi rovesciare l'ordine di cose esistente.
Fonte: sollevAzione
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